Il sambuco, arbusto molto diffuso in Italia e Europa, era considerato prezioso per i suoi molteplici utilizzi terapeutici e magico per le leggende ad esso legate.
“…I vecchi sambuchi donano
Lunga vita a tutto il mondo,
ma all’altro, la morte cattiva
i vecchi sambuchi comandano
un viaggio lungo e lontano.
I vecchi sambuchi promettono
Vita eterna
All’intera razza degli uomini.”
(canzone russa)
Il canto delle donne russe si librava così nel cielo, verso i Vecchi Sambuchi, gli Spiriti e gli Dei, quando i villaggi, minacciati da epidemie e malattie mortali, necessitavano di protezione. La canzone invocava la pietà delle tre Grandi Dee, chiedendo una vita lunga e piena di salute.
Pianta comune, ma tutt’altro che banale il sambuco. Cresce un po’ dappertutto, dai campi incolti ai margini di strade e vicino a corsi d’acqua.
Diffuso nella flora come nel vissuto dell’uomo, ha rappresentato un prezioso alleato anche per la cultura popolare: dai rimedi medicinali di tutta Europa alla letteratura, dalle poesie alla musica e al cinema. Come non ricordare d’altronde le dolci vecchiette assassine di “Arsenico e vecchi merletti”, che avvelenano le loro vittime con un profumato e casalingo vino di sambuco?
Se poi volessimo cambiare ciò che non ci piace e far avverare tutti i nostri desideri, scegliamo senz’altro una bacchetta magica di sambuco! Il legno preferito dalle streghe e maghi delle favole e delle leggende popolari. Persino il celebre mago Albus Silente, nella saga di Harry Potter, la scelse come fedele compagno di ventura. Di sambuco è pure il flauto magico ed incantatore delle storie popolari, lo stesso dell’omonima opera di Mozart, il cui suono vanificava ogni sortilegio.
Nel passato, generazioni di bambini lo elessero a compagno di giochi; oggi, un po’ più cresciuti, ricordano ancora con molta nostalgia i tempi in cui non esistevano i videogiochi ma, con quei fusti privati del midollo, costruivano ogni sorta di cerbottana, fischietto o flauto. A confermare la vena musicale del sambuco contribuisce anche l’etimologia: il nome del genere sembra derivi dal greco “sambuke”, in latino sambuca, specie di arpa orizzontale di forma triangolare, usata dai Greci e dai Romani, presunta erede di uno strumento persiano chiamato “sabka” di forma simile.
A tarda primavera, il sambuco nero, Sambucus nigra L, (famiglia delle Caprifoliacee) rivela la sua presenza con i suoi graziosi fiori a stella, di colore bianco panna, che raccolti in vistose ombrelle, fanno capolino anche tra la vegetazione più fitta, allietando col loro gradevole aspetto anche gli incolti. Presente in gran parte dell’Europa temperata, si presenta come un arbusto di 4-5 metri, talvolta un piccolo albero. In tarda estate giungono a maturazione i frutti; piccole bacche lucenti di color nero-violaceo, dette botanicamente drupe, riunite in grappoli, e dal sapore acidulo, molto gradite al palato. Apprezzate fin dalla preistoria, almeno a giudicare dalla gran quantità di semi rinvenuti negli scavi dei villaggi di palafitte, chiaro indizio dell’uso commestibile e forse tintorio.
Da non confondere col suo parente stretto, il sambuco rosso o ebbio (Sambucus ebulus), che pur somigliandogli si distingue facilmente dal primo, in quanto ha fusti erbacei anziché legnosi e fiori dall’odore di mandorle amare; i suoi frutti rossi sono tossici.
Credenze ed impieghi popolari
Vita e morte, salute e malattia. Opposti che si alternano, danzano e duellano tanto nella Natura quanto nella simbologia di questa pianta. In molti paesi e culture nordiche era una delle maggiori rappresentazioni della Grande Madre o Dea; si diceva che il suo divino potere femminile scorresse nelle dure vene legnose della pianta e la rendesse quasi un essere animato, incutendo non poco timore. Il triplice volto della Dea si deduceva dal suo aspetto: i fiorellini delicati, profumati e bianchi rappresentavano la Fanciulla Vergine, il verde dei rametti e delle foglie la Madre rigogliosa e le bacche nero violacee la Strega oscura. Naturalmente era vietato sradicare, tagliare e bruciare la pianta per non recare una grave offesa alla Dea, che desiderava fosse preservata dal fuoco. Il sambuco è tra i primi alberi a germogliare, e questo suo rivivere in un momento in cui la natura è ancora morta lo rende simbolo di speranza. Con i suoi ramoscelli cavi e succosi, che ricrescono facilmente anche dopo essere stati danneggiati e i suoi fiori bianchi, è simbolo rispettivamente di rigenerazione e compassione. L’associazione della pianta con la morte è antica: selci funerarie a forma a foglia di sambuco sono state ritrovate già nelle sepolture megalitiche a tumulo oblungo del Neolitico. Considerato anche dai Celti il guardiano della soglia della morte, sorvegliava però anche il passaggio in direzione opposta, ovvero quello di fertilità e nascita. Con l’avvento del Cristianesimo, il sambuco divenne poi un albero legato solamente alla morte in senso fisico, al dolore e alla malattia, tanto che si iniziò ad usarlo nei riti di sepoltura.
Pure le sue proprietà terapeutiche sono note fin dall’antichità: per Teofrasto le parti delle piante erano paragonabili a quelle del corpo umano e si distinguevano in muscoli, midollo, pelle: egli quindi lo inserisce tra le piante “pelle e ossa”, assieme alle canne. Il Mattioli ed il Durante, nel secolo XVI, pur annoverando il sambuco tra le piante “umide”, come il salice e l’ontano, gli attribuivano, al contrario, virtù “calde” e “secche”.
Una delle tradizioni contadine, in onore alle sue proprietà, era quella di inginocchiarsi sette volte di fronte, perché sette sono le parti del sambuco utilissime per la cura dell’uomo: i germogli, le foglie, i fiori, le bacche, la corteccia, le radici e il midollo.
Anche nella medicina popolare piemontese del sambuco si utilizzava proprio tutto, e quasi per ogni male c’era rimedio, tanto da essere ritenuto la “farmacia degli dei”. L’infuso dei fiori per influenze, raffreddori, bronchiti ma anche come sudorifero in caso di febbre, per la gotta, come analgesico e antinfiammatorio generale e persino per facilitare la secrezione del latte. Per uso esterno il cataplasma con l’infuso dei fiori si consigliava per le irritazioni della bocca, della pelle e degli occhi e pure per gli ascessi dentali. Anche le bacche erano molto apprezzate: oltre che per uso alimentare, il succo che si ricavava era usato come depurativo, lassativo e regolarizzante dell’intestino, nonché per infiammazioni varie delle vie respiratorie e persino per fastidiose e persistenti nevralgie, dal mal di testa alla sciatica.
Uno dei rimedi di cui si favoleggiano le proprietà è senz’altro l’unguento: si prelevava la “seconda corteccia” dei giovani rami (il foglietto verde, adeso al midollo) che si faceva bollire in cera d’api sciolta a bagno maria, a cui si aggiungeva poi dell’olio di oliva; si dice fosse portentoso per le scottature, ferite, piaghe, psoriasi ed eczemi.
Il decotto di foglie era persino un utile antiparassitario, spruzzato in caso di invasioni di larve; impiego recentemente riscoperto nella lotta biologica nella frutticoltura e orticoltura.
E volendo aggiungere una pennellata di colore alla vita, basta usare il succo delle bacche; col loro pigmento blu-viola si tingevano i tessuti e persino il vino. La nostra magica pianta era una delizia anche per il palato dei buongustai: aceto aromatico, sciroppi e frittelle con i fiori, marmellate e persino un rustico vino con le bacche, ottenuto per la debole fermentazione alcolica degli zuccheri contenuti.
E se il profumo dei fiori riflette di nuovo l’ambivalenza della pianta, risultando gradevolissimo ad alcuni e nauseabondo per altri, almeno sul sapore delle loro famose frittelle sono tutti d’accordo. Delizioso, come il cibo degli dei.
Le ricette popolari
Succo di bacche di sambuco: considerato un ottimo depurativo e antinevralgico. Per prepararlo lasciar cuocere per qualche minuto (5 circa) 80 g di bacche mature. In seguito pestare bene le bacche e filtrare. Addolcire la bevanda calda con zucchero o miele e berne un bicchierino.
Frittelle di sambuco: preparare una normale pastella per frittelle e, dopo averli accuratamente lavati e privati degli steli, immergere i fiori nell’impasto (una ombrella di fiori per ogni frittella, o meno a seconda dei gusti). Cuocere le frittelle con un poco di burro per non farle aderire alla padella. Il profumo dei fiori si diffonderà in tutta la cucina.