Un bicchiere d’assenzio, non c’è niente di più poetico al mondo! Che differenza c’è tra un bicchiere di assenzio e un tramonto? Il primo stadio è quello del bevitore normale, il secondo quello in cui cominciate a vedere cose mostruose e crudeli ma, se perseverate, arriverete al terzo livello, quello in cui vedete le cose che volete, cose strane e meravigliose.
Oscar Wilde
Poche piante sono entrate nella storia della letteratura e nel mito come l’assenzio, poche sono state più chiacchierate e controverse: absinthe fu parola per lungo tempo innominabile. Sicuramente nessuna così amara.
Artemisia absinthium, l’assenzio maggiore, cresce spontanea nel bacino del Mediterraneo e nell’Europa centromeridionale. Pianta erbacea perenne, appartenente alla famiglia delle Asteraceae, dal caratteristico aspetto, col fusto verde argenteo e lanuginoso, la foglia grigio-verdastra nella pagina superiore e bianca in quella inferiore.
Il nome del genere, Artemisia, deriva da Artemide, dea della fertilità, e ricorda le proprietà emmenagoghe della pianta (ovvero promuove il mestruo), mentre l’epiteto absinthium deriva dal greco apsìnthion, ovvero “privo di dolcezza”.
Citato anche nelle Sacre Scritture, come nella Bibbia, è però menzionato sempre in accompagnamento a sciagure e disastri, probabilmente per la sua amarezza eccessiva. Nell’Apocalisse si chiama assenzio la grande stella punitrice: “Il nome della stella è “Assenzio”. Un terzo delle acque diventò amaro come l’assenzio, e molti di quelli che bevvero morirono, perché erano avvelenate” (Giovanni, Apocalisse 7,10). La fama delle sue grandi virtù terapeutiche arriva da lontano: già nel 1600 a.c. esse sono citate in un papiro dall’antica civiltà egizia e, nei secoli successivi, dai Romani, Celti, Arabi, e più tardi anche dai medici del Medioevo.
Nell’antica Grecia veniva usato per curare i problemi digestivi in infuso o in macerazione nel vino. Pitagora prescriveva la stessa bevanda per assistere il travaglio durante il parto, mentre Ippocrate lo consigliava per l’itterizia, i reumatismi, l’anemia e i dolori mestruali.
Il famoso naturalista romano, Plinio il Vecchio, la stimava moltissimo per curare molte malattie e disfunzioni, riferendo che in occasione delle gare sulle quadrighe sul Campidoglio, il vincitore beveva una tazza di foglie di assenzio, affogate nel vino, che gli ricordava così che…anche la gloria ha il suo lato amaro! Lo raccomandava inoltre come elisir di giovinezza e come cura per l’alitosi.
Apuleio consigliava il viandante di portare con sé un rametto di questa pianta per alleggerire la fatica della via, Virgilio nelle Georgiche e Catone nel De re rustica ne esaltavano le sue proprietà antiarrossanti « … quando ti metti in viaggio tieni un ramicello di assenzio sotto l’ano: è un rimedio contro le scorticature delle coscie».
Le sommità fiorite di assenzio contengono anche molti principi amari e digestivi ed in fitoterapia è impiegato come amaro, stimolante della digestione, nella terapia delle affezioni gastrointestinali e nell’atonia gastrica, utile anche nelle anoressie con tendenza alla costipazione. Molto usato anche nella medicina popolare piemontese, “l’Incens” come è spesso volgarmente chiamato, ha fatto tremare intere generazioni dei nostri avi, al ricordo del gusto amarissimo del succo o del decotto, dato loro da bambini, come rimedio efficacissimo contro i vermi intestinali e l’acetone. Usato anche per aromatizzare il vino, come digestivo, per il mal di stomaco, per promuovere le mestruazioni e, messo nei materassi, persino come antitarme e contro i topi. Per uso esterno, sembra che l’impiastro delle foglie fresche, miste a lardo battuto, fosse un rimedio eccezionale per le contusioni.
La sua storia moderna è però legata all’omonimo liquore, che si ottiene dalla distillazione della droga con alcool e una miscela di varie piante (anice, finocchio, issopo, melissa, anice stellato e altri). Ebbe una rapida diffusione a partire dal XVIII secolo, per diventare di moda durante la “Belle-Epoque”, ispirando poeti e scrittori, in particolare nel periodo letterario degli Scapigliati, che misero in uso una bevanda alcolica a base di assenzio che provocava un certo torpore mentale: era l’inizio della dipendenza che portò molti all’absintismo.
Il suo abuso produsse intossicazioni gravi, come testimoniano molti scrittori e un quadro di Edgar Degas, l’Assenzio.
Visto come la “porta per l’inferno”, uno stato modificato di coscienza che rendeva l’artista visionario, esercitò il suo fascino sulle menti più brillanti a cavallo tra ’800 e ’900.
Baudelaire, Rimbaud, Verlaine, i maledetti, ma anche gli impressionisti Toulouse Lautrec, Degas, Manet… Addirittura si narra che Van Gogh si tagliò l’orecchio dopo aver assunto dell’assenzio.
Nei bar e nei bistrot parigini cercavano ispirazione nella “Fata Verde”, “la féè verte” come era eufemisticamente chiamato il liquore a base di “absinth”. Tra le 17 e le 19 nei bolulevard di Montmartre il tempo dell’aperitivo era l’”ora verde” e l’assenzio scorreva a fiumi.
Verde per via del colore, della clorofilla contenuta, per gli effetti allucinogeni che avrebbe provocato e per quell’intorbidare l’acqua il “losche”, dovuto all’insolubilità di alcuni componenti, anticipatore della musa creativa.
Ricetta popolare nel Jura franco svizzero, il liquore fu messo a punto da un medico del luogo Pierre Ordinaire intorno al 1792 che né lasciò la ricetta alle sorelle Henriod, che nel 1797 la passarono al maggiore Dubied Costui si mise in affari con Henry Lousi Pernod che ne aveva sposato la figlia. Nei primo anni dell’’ottocento alcune piccole distillerie della regione di Pontalier iniziarono la produzione dell’elisir considerato rimedio un po’ per tutti i mali.
Il successo arrivò più tardi con la guerra d’Algeria e con l’uso che ne facevano i soldati.
In poco tempo l’Absinthe divenne la bevanda alcolica più popolare e il successo negli anni a cavallo del secolo fu così clamoroso da consigliare l’intervento delle autorità, sollecitate da motivi di salute pubblica, ma anche dalla preoccupazione dei vignerons del midi e dai distillatori di cognac, che vedevano minacciato il loro primato.
Si disse che era un allucinogeno, che desse assefuazione, che portasse alla pazzia, e l’assassinio della propria famiglia perpetuato da un certo Lanfray, nel 1905, dopo averlo bevuto in abbondanza, diede il via alla campagna proibizionista. D’altronde, i tempi stavano cambiando e la stagione della “Belle Epoque” era alla sua conclusione; nubi di guerra si addensavano all’orizzonte. I poeti si accingevano a lasciare la ribalta del palcoscenico ai generali, le trincee ai viali. Nel 1915 l’assenzio venne definitivamente proibito.
Il maggior indiziato per gli effetti indesiderati è il tujone, sostanza psicotropa presente anche nella Cannabis.
Negli ultimi anni, seppure con qualche restrizione nel nome, l’Absinthe è tornato alla legalità e anche di moda, oggetto di culto e fonte di ispirazione anche nell’arte contemporanea. Ispirando libri e canzoni, è diventata anche una bevanda irrinunciabile per personaggi noti nel mondo della musica e dello spettacolo. A questo proposito, numerose sono le dichiarazioni di attori (da Jhonny Depp, che lo scoprì sul set di “from hell” a Leonardo di Caprio) e cantanti (dal famigerato Marilyn Manson agli italiani Bluvertigo) che considerano irrinunciabile questa bevanda. Tuttavia è necessario ricordare che l’ assenzio oggi in commercio ha poco o nulla a che fare con quello assunto nei secoli addietro dai poeti e dagli artisti “maledetti”, e che spesso queste dichiarazioni vengono rilasciate più per stupire il pubblico che per un reale fondamento nella realtà.
Info: http://www.museeabsinthe.com/index.html
Il “Musée de l’Absinthe” si trova à Auvers sur Oise, fontato dar Marie-Claude Delahaye, nella banlieu di Parigi. Tel. +33 01 30 36 83 26.
bello questo articolo, io faccio il liquore di tanto in tanto